Quali aziende garantiscono maggiori livelli di occupazione tra quelle mature e quelle con meno di 5 anni?
Quali paesi investono di più in R&S e in che modalità?
Come si è evoluta la mobilità dei ricercatori negli ultimi anni e come sono distribuiti i centri più attrattivi nel mondo?
Come si posizionano le economie emergenti rispetto tutto questo?
Pubblicato di recente, il report OECD/OCSE “OECD Science, Technology and Industry Scoreboard 2013-Innovation for Growth” pone la lente di ingrandimento su questi aspetti.
Alcune risposte sono interessanti: generano maggiore occupazione le nuove aziende con meno di 5 anni, rispetto a quelle mature, che invece hanno un saldo complessivamente negativo rispetto alla creazione/distruzione di posti di lavoro, a dimostrazione della struttura produttiva in cambiamento delle economie mature.
Da un altro punto di vista, la dislocazione delle Università con il maggior impatto su R&I (rispetto alle altre) vede leggermente diminuita la concentrazione di queste negli USA, vedendo per la prima volta anche 2 top Universities al di fuori dell’area OCSE.
E l’Italia?
Qui il report specifico sul nostro Paese, da cui emerge come l’Italia sia la settima economia esportatrice e la quinta potenza produttrice nel settore manifatturiero, sebbene la sua quota di mercato sia stata erosa negli ultimi 20 anni dalla crescita delle economie emergenti. Combinato con i dati di cui sopra relativi all’occupazione, sono evidenti le indicazioni per il futuro.
Pregi e difetti
Altri dati rivelano che:
– l’Italia ha una struttura economica diversificata, che le dà piccole quote di mercato in numerosi settori: se questo da un lato riduce il rischio di shock idiosincratici, dall’altro può essere indice ancora di scarsa specializzazione, pur rilevando nicchie di eccellenza come il design di prodotto legato ai trasporti e alla moda;
– un fattore che contribuisce alla debole produttività del sistema è la predominanza di imprese di piccole dimensioni che, pur occupando il 58% della popolazione attiva, contribuiscono al 40% del valore aggiunto: seppure inizialmente delle stesse dimensioni delle altre startup nei paesi OECD, le imprese italiane crescono molto poco dopo l’ingresso nel mercato, evidenziando le difficoltà strutturali di un completo dispiegamento del loro potenziale di crescita (potenziale dimostrato dal maggiore numero di product innovators fra le PMI italiane rispetto alla media OECD);
– un fattore critico per la competitività italiana a livello globale è lo (scarso) investimento in Knowledge based capital (KBC). Questo tipo di investimenti, capaci di offrire rendimenti di scala nella produzione e spillover di crescita in vari settori maggiori rispetto agli investimenti in capitale fisico, sono aumentati in paesi come Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e USA dove dal 2010 hanno superato gli investimenti in physical assets come macchinari, attrezzature e strutture. In Italia invece gli investimenti in physical assets rimangono ancora la quota dominante degli investimenti in R&D realizzati, i quali, sia pubblici che privati, sono ancora al di sotto della media OECD.